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Luchino Visconti

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ALFRED HITCHCOCK

Pressoché nessuna tradizione teorica degli ultimi quarant’anni si è sottratta al confronto con l’autore forse più studiato dell’intera storia del cinema: autorialismo, semiotica, psicoanalisi, critica femminista e altre correnti ancora hanno messo alla prova i loro strumenti di analisi operando sui film di Alfred Hitchcock.

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Nelle mie incursioni ho considerato soprattutto aspetti relativi alla rappresentazione della sessualità, questione peraltro nevralgica di una parte consistente della fortuna critica di Hitchcock, a partire soprattutto dal saggio Visual Pleasure and Narrative Cinema (1975) di Laura Maulvey che ha fondato la feminist film theory. In particolare, mi sono occupato della rappresentazione della donna in relazione a una peculiare concezione del melodramma in Vertigo (La donna che visse due volte, 1958) [Cherchez la mère. Vertigo tra melodramma e trauma] e del vincolo matrimoniale in rapporto ai moduli della "commedia del rimatrimonio" (formulati da Stanley Cavell) in North by Northwest (Intrigo internazionale, 1959) [Stanley Cavell interprete di Alfred Hitchcock] e in un film minore e poco studiato, Mr. and Mrs. Smith (Il signore a la signora Smith, 1941) [Mr. and Mistress Smith: una tipica commedia americana di Alfred Hitchcock].

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È però a Psycho (Psyco, 1960) che ho dedicato lavori sistematici, nella convinzione che ci fosse ancora molto da dire sulla sua innovativa rappresentazione di uno scontro tra sessualità, malattia e morte. Alfred Hitchcock. Psyco interroga il film alla luce del suo rapporto ambivalente con il cinema classico e con quello moderno (parallelo al suo sforzo di mantenere un rapporto saldo con la tradizione hitchcockiana stessa, pur tentando di rinnovarla radicalmente), a partire dal lavoro di adattamento dell'omonimo romanzo di Robert Bloch, sempre snobbato dalla critica cinematografica.

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Le questioni sollevate dalla peculiare concezione del genere e della sessualità che danno forma a Norman Bates e al suo scontro con Marion Crane, nonché la scomparsa di una soglia rassicurante capace di dividere nettamente malattia e salute, sono ulteriormente approfondite in un secondo libro, Nell’ombra di Hitchcock: Eros, morte e malattia nell’eredità di Psycho, il cui intento è far risalire alle ambiguità culturali e ideologiche aperte dai complessi rapporti istituiti fra sesso, morte e malattia la novità e le ragioni dell'influenza del tutto straordinaria del film. La sovrapposizione di questi tre elementi in Psycho è stata infatti capace di intercettare questioni culturalmente decisive nel Novecento, nel loro stesso farsi, tanto da originare un flusso ininterrotto di riscritture che, studiate non solo nei loro rapporti formali con l’originale, ma sullo sfondo delle fluttuazioni di contesti culturali, saperi di riferimento e ideologie, da sole offrono uno spaccato culturale oltremodo significativo di mezzo secolo di cinema occidentale.

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Tra di esse il volume affronta anche un altro film dello stesso Hitchcock, Frenzy (1972), riletto come tentativo di aggiornare la formula di Psycho passando per un intermedio progetto non realizzato, intitolato anch'esso Frenzy, oppure Kaleidoscope, a seconda degli stadi di elaborazione.

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Le riscritture di Psycho si prestano altrettanto bene a ricostruire l'evoluzione della serialità televisiva, cui ho dedicato un saggio a parte [«Do you (really) believe in evil?». Psycho, la serialità televisiva e il suo spettatore] che, insieme al volume che lo ha preceduto, intende contribuire a colmare una lacuna vistosa nella pur sterminata fortuna critica del regista, cioè lo studio della sua influenza, notoria eppure singolarmente trascurata dalla letteratura.

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